
Cassazione: basta scaricare la prova sul medico, il diritto vale per tutti
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Alla fine è dovuta intervenire la Corte di Cassazione. Dopo due gradi di giudizio che avevano respinto la richiesta di monetizzazione delle ferie non godute presentata da un direttore di struttura complessa, è stata la Corte di legittimità – con l’ordinanza n. 20591/2025 – a ristabilire i criteri corretti di valutazione, evidenziando con chiarezza i gravi errori commessi dai giudici di merito.
Il caso
La vicenda riguarda il direttore del “Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza” di un’azienda ospedaliera emiliana che, dopo aver rassegnato le dimissioni per il pensionamento, aveva predisposto un piano di smaltimento dei numerosi giorni di ferie arretrati. Tuttavia, a causa di improrogabili esigenze di servizio, non era riuscito a esaurirli completamente. Al termine del rapporto, residuavano circa 75 giorni di ferie, per i quali aveva chiesto la monetizzazione, richiesta che l’azienda aveva puntualmente negato.
Sia il Tribunale di Parma sia la Corte d’Appello di Bologna avevano respinto il ricorso del dirigente, sostenendo che non fosse stata fornita prova sufficiente delle ragioni che gli avevano impedito di fruire delle ferie maturate.
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Cassazione: decisione della Corte d’Appello errata
Giunta davanti alla Suprema Corte, la decisione dei giudici di Bologna è stata duramente criticata e quindi annullata. La Cassazione ha censurato l’impostazione adottata nei precedenti gradi di giudizio, che aveva impropriamente addossato al dirigente medico l’onere della prova, senza valutare il comportamento dell’azienda.
Richiamando l’art. 118 c.p.c. e numerosi precedenti, la Corte ha ribadito principi ormai consolidati:
1️⃣ Il dirigente che, alla cessazione del rapporto, non abbia potuto godere di tutte le ferie maturate ha sempre diritto all’indennità sostitutiva, salvo che il datore dimostri di averlo formalmente invitato a fruirne, informandolo delle conseguenze in caso di mancato godimento.
2️⃣ La facoltà del dirigente di organizzare autonomamente le proprie ferie non comporta la perdita automatica del diritto alla monetizzazione, se non si accerta che l’organizzazione del lavoro o le esigenze di servizio abbiano effettivamente consentito la fruizione dei riposi.
Riprendendo quanto stabilito dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia Europea (sentenza del 6 novembre 2018) e dalla giurisprudenza successiva, la Cassazione (sent. n. 13679/2024) ha ricordato che il datore di lavoro deve formalmente invitare il dipendente a usufruire delle ferie, in modo accurato e in tempo utile, avvertendolo che in caso di mancato godimento queste andranno perse.
La Suprema Corte ha infine ribadito un principio chiave, già espresso nelle pronunce n. 9877/2024 e 9982/2024: nei casi dubbi, l’onere della prova ricade sempre sul datore di lavoro e non sul dipendente.
Il monito “senza equivoci” della Corte
Il punto cruciale, sottolinea la Cassazione, è verificare cosa abbia fatto l’amministrazione per consentire al dirigente di godere delle ferie maturate e se le esigenze di servizio – come la cronica carenza di personale – abbiano realmente impedito il riposo.
La Corte ha quindi richiamato con fermezza l’errore dei giudici di appello, che avevano concentrato l’attenzione solo sul dirigente, trascurando di valutare l’operato dell’azienda.
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I risultati parlano da soli: liquidazioni e risarcimenti, anche transattivi, che hanno garantito ai professionisti pubblici il riconoscimento dei propri diritti economici, spesso negati per anni.
Ferie non godute: un diritto che vale per tutti
Anche i dirigenti e i direttori di struttura hanno diritto alla monetizzazione delle ferie non godute. La giurisprudenza lo conferma: non è il lavoratore a dover provare l’impossibilità di goderne, ma il datore a dover dimostrare di aver fatto tutto il possibile per consentirlo.
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